giovedì 12 aprile 2018

ARRENDERSI? MAI!


Era il primo Natale che trascorrevo senza i miei genitori. 
Avevo solo cinque anni e mi trovavo a casa di nonna Matilde, in compagnia sua e delle sue storie, che non smettevano mai di affascinarmi. Mi raccontava dei suoi giri intorno al mondo: in particolare, quella sera mi parlò del suo viaggio negli Stati Uniti d'America e dell’incontro con Hope Solo, una ragazza che sarebbe diventata un importante portiere del Seattle Reign e della Nazionale statunitense, e che ben presto diventò il mio idolo. Fu proprio dal racconto di quella tenace campionessa che nacque la mia passione per il calcio. Da quel giorno, infatti, mi ritrovai spesso in giardino a giocare a pallone con mio cugino Gabriele, soprannominato il piccolo Lionel, in onore del grande Messi, che mi insegnò le prime basi del calcio.
Fino alla terza media facevo parte della squadra dell'oratorio del mio quartiere, ma ora che sono in prima superiore, mi sono iscritta a quella dell’istituto, la "G.Rossini". Non mi sarei mai aspettata un cambiamento così radicale. Il primo giorno di scuola non andò proprio come avevo immaginato. Alla fine delle lezioni, mentre mi dirigevo verso la segreteria per informarmi degli orari degli allenamenti, vidi una ragazza accerchiata da un gruppo di studenti. Mi avvicinai. Tra loro riconobbi il capitano della squadra di calcio, figlio del celebre calciatore Brando Moretti, che la prendeva in giro, seguito a ruota dai suoi tirapiedi. "EHI, LASCIATELA STARE!" mi intromisi. Il capo, Lupo, sgranò gli occhi, basito nel vedere qualcuno che si metteva contro di lui. Ci fu un imbarazzante minuto di silenzio, che venne interrotto dal suono assordante della campanella. La ragazza mi lanciò uno sguardo di gratitudine. "Sei  molto gentile", mi disse, "comunque io sono Sofia Brambilla"; mi presentai a mia volta "Ciao, io sono Andrea Diamante", e diventammo subito grandi amiche. Al primo allenamento vidi Sofia che mi salutava dagli spalti. Poi scoprii che era lì per fare il tifo per il suo fidanzato, Leo, uno degli attaccanti della squadra.
Appena entrata in campo mi accorsi di avere gli occhi di tutti puntati su di me; ma non feci in tempo a capire se mi lanciassero sguardi amichevoli oppure no, che il mister mi chiamò per presentarmi ai miei nuovi compagni di squadra. "Ragazzi questa è Andrea Diamante", e già qui risuonarono le prime risate, "mi raccomando, siate gentili con lei". Ognuno si recò nella propria posizione: naturalmente io andai in porta. Ero molto emozionata. Ci allenammo sulle tecniche di tiro e di parata. Alla fine dell'ora, uscita dallo spogliatoio, mi ritrovai faccia a faccia con il capitano della squadra, un certo Lupo Moretti, e i suoi amici. "Ah, ecco Diamante o meglio Perlina" disse con un ghigno e gli altri si misero a ridere "Se pensi di potermi sostituire in porta, ti sbagli di grosso: sono sempre stato io il portiere di questa squadra e continuerò ad esserlo. "Preferii non ribattere e me ne andai di corsa.
Avevo già capito che avrei faticato molto per farmi accettare dalla squadra. "Com'è andata oggi?" mi chiese a casa nonna Matilde. "Non molto bene" risposi controvoglia "a calcio si comportano come se non esistessi, e danno la colpa a me per ogni singolo errore". "Ti capisco tesoro e posso dirti solo una cosa: continua ad allenarti, sacrificati e impegnati per raggiungere il tuo obiettivo. Vedrai che i tuoi compagni impareranno ad apprezzarti". Nei giorni seguenti, non fu facile per me presentarmi a tutti gli allenamenti con tantissimi compiti e capitoli da studiare per i test d'ingresso di inizio anno. Ma non mi arresi. D'altronde, lo dice anche il mio cognome: resistente come un diamante.
Un normalissimo mercoledì, dopo aver salutato Sofia alla fine dell'ultima ora, e dopo essere arrivata un po' tardi all'allenamento, sentii una cosa che mi rese felicissima ma molto ansiosa allo stesso tempo. "Ragazzi" annunciò il mister "come sapete, abbiamo due portieri in squadra, uno più valido dell'altro; perciò per stabilire chi sarà il portiere titolare, sabato Andrea e Lupo si sfideranno a calci di rigore e chi ne parerà di più vincerà". Stavo proprio per correre come un razzo a casa per raccontarlo alla nonna, quando il mio cellulare squillò: era Sofia. "Ciao Andrea!" "Ciao Sofia, tutto bene? "Sí …senti sabato c'è la finale dei campionati provinciali di pallavolo e giocheremo noi, le Volpine, contro un'altra squadra molto forte. É una partita fondamentale e ci terrei che tu venissi". Tutto il mio entusiasmo si spense in un attimo. E ora? Come avrei fatto a spiegarle che non sarei andata perché avevo l'allenamento più importante dell'anno, in cui mi sarei sfidata con Lupo? "In realtà, non so ancora se posso … ti faccio sapere!". "Ok, ciao a domani!".
Sperai con tutto il cuore che Sofia mi avrebbe capita e tornai a casa. Quello stesso mercoledì, appena ebbi un po' di tempo libero, corsi a chiamare Gabriele per allenarmi con lui in cortile: lui tirava, io paravo. O almeno ci provavo. Dopo diversi tentativi, notai i primi miglioramenti; paravo sette tiri su dieci!! Mi sentivo più fiduciosa "Chissà, magari batterò davvero Lupo" pensai. Mio cugino mi incoraggiava dicendomi che avrei vinto sicuramente: "Sei molto più agile e veloce di quella saracinesca!" mi disse. Continuai ad allenarmi duramente anche nei giorni successivi.
Poi arrivò sabato, un giorno pieno di emozioni. Avevo deciso di mandare un messaggio a Sofia per avvisarla che non sarei andata alla sua partita, non me la sentivo proprio di chiamarla, avevo paura di aver tradito la nostra amicizia. Però, mi dissi, se è una vera amica capirà.
La mattina a scuola ero distratta, con la testa già in campo, ricevetti non pochi richiami dai professori che non capivano cosa mi fosse preso. Apprezzai, più di quanto avessi mai fatto, il suono dell'ultima campanella. Per evitare di arrivare in ritardo, corsi per tutto il tratto dalla scuola al campo e, giunta con cinque minuti di anticipo, iniziai a scaldarmi sul prato. Naturalmente, Lupo non si lasciò sfuggire questa occasione e in un attimo fu da me. "Senti, Perlina, siccome sappiamo entrambi chi vincerà oggi, se non l'hai capito sto parlando di me, questa è l'ultima possibilità che hai per ritirarti e non essere umiliata" mi disse con tono arrogante. "No!" risposi decisa, senza neanche pensarci, "hai solo paura di perdere!". "Ah sì? Beh, staremo a vedere!" Ci posizionammo in porta e, al fischio dell'allenatore, la sfida ebbe inizio. Leo si preparò a tirare il primo rigore. Toccava a Lupo. Parò il primo tiro. Lo stesso fu per me. Procedemmo così fino al quarto: eravamo pari. Tutto dipendeva dall'ultimo rigore.
Leo tirò. Vidi le mani di Lupo sfiorare il pallone, ma non fece in tempo ad afferrarlo, che si abbatté contro la rete. Non l'aveva parato! Poi toccò a me. Se fossi riuscita a difendere la porta, sarei diventata portiere titolare della squadra. Leo tirò un’ultima volta. Senza quasi rendermene conto, mi ritrovai miracolosamente la palla stretta fra le mani. Non ci credevo neanche io. Ce l'avevo fatta!!
Dopo un primo momento di stupore generale, vidi Lupo andarsene via arrabbiato. Il lunedì seguente, a scuola, decisi di andare da lui per parlargli. Con mia grande sorpresa, quando mi avvicinai, mi disse una cosa che non mi sarei mai aspettata: "Perlina, in fondo non sei così male e forse meriti il ruolo di portiere. In ogni caso, avrei comunque dovuto abbandonare la squadra per non essere bocciato anche quest'anno". Mi rivolse un sorriso ironico e si allontanò. Capii che forse sarebbe stato l'inizio di una grande amicizia.
Così eccomi qui, portiere titolare della squadra. Io e Sofia ci siamo rappacificate: non potevamo rimanere separate a lungo, lei ha capito quanto fosse importante per me quell'allenamento, per cui avevo tanto faticato, e io ne sono stata contenta. Da quel giorno il mio motto è diventato: mai arrendersi!! Bisogna sempre lottare per raggiungere i propri obiettivi anche quando sembrano inarrivabili.

SCUOLA MEDIA "ELISA SALA" CLASSE 2^A


Era il primo Natale che trascorrevo senza i miei genitori. Avevo solo cinque anni e mi

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